
Michela ha 48 anni, vive a Como e lavora come insegnante di scuola primaria. Ama stare in classe con i suoi alunni, giocare con i nipoti e camminare lungo il lago la domenica mattina. Per lei, la vita attiva e i piccoli gesti quotidiani sono sempre stati fonte di energia. Eppure, da qualche anno, tutto questo era diventato un ricordo lontano a causa di un dolore sordo, costante e invalidante nella parte bassa della schiena.
All'inizio, pensava fosse solo "mal di schiena da stress". Poi, però, quel dolore ha iniziato a localizzarsi in un punto preciso: la zona posteriore del bacino, vicino all'articolazione sacroiliaca, quella che collega l'osso sacro al bacino.
L'inizio del calvario
Il dolore era insidioso. All'inizio si manifestava solo dopo molte ore in piedi in classe, oppure se passava troppo tempo seduta a correggere i compiti. Poi, col passare dei mesi, Michela ha iniziato a sentirlo anche di notte, soprattutto quando si girava nel letto. Non era un dolore acuto come una fitta improvvisa, ma una sensazione sorda, pesante, che la logorava giorno dopo giorno.
Spesso si irradiava verso il gluteo destro e, a volte, fino alla parte posteriore della coscia. Camminare a lungo diventava difficile, salire le scale un tormento. La qualità della sua vita stava peggiorando visibilmente.
La diagnosi: sacroileite
Dopo mesi di visite, esami e tentativi con antinfiammatori, Michela è arrivata finalmente a una diagnosi chiara: sacroileite cronica.
La sacroileite è un'infiammazione dell'articolazione sacroiliaca, una struttura poco conosciuta ma fondamentale. Si trova nella parte bassa della schiena, là dove la colonna vertebrale incontra il bacino. È un'articolazione che sopporta gran parte del peso del corpo e che, quando si infiamma, può causare dolori intensi e persistenti.
Nel caso di Michela, la risonanza magnetica mostrava segni di infiammazione della sacroiliaca destra, mentre la valutazione clinica evidenziava:
- Dolore evocato alla pressione diretta sulla sacroiliaca destra.
- Dolore percepito al test di torsione del cingolo pelvico o test di Gaenslen. Il test consiste nello stressare in direzione opposta le due ali iliache (antiversione, retroversione) e di conseguenza le ASI. Il test viene realizzato con soggetto in posizione supina disteso sul bordo del lettino; l'anca vicino al bordo viene estesa mentre l'opposta viene flessa agli estremi del range di movimento. Il test viene considerato positivo se tale movimento innnesca o accentua il dolore percepito dal paziente.
Primo approccio terapeutico: l'infiltrazione
Il primo passo è stato un trattamento mirato: un'infiltrazione intra-articolare ecoguidata di anestetico e corticosteroide. L'obiettivo era ridurre l'infiammazione, alleviare il dolore e, allo stesso tempo, confermare la diagnosi.
L'intervento è stato rapido e mininvasivo. Michela è entrata in ambulatorio la mattina, si è sdraiata in posizione prona e, sotto guida ecografica, lo specialista ha introdotto un ago sottile nell'articolazione sacroiliaca. Una piccola quantità di farmaco è stata iniettata direttamente nella sede del problema.
Il risultato iniziale è stato sorprendente: per due settimane Michela ha quasi dimenticato di avere dolore. È tornata a insegnare con energia, ha ripreso a fare lunghe passeggiate e perfino una piccola escursione in montagna.
Ma, purtroppo, la gioia è durata poco. Dopo circa tre settimane, il dolore è tornato, quasi con la stessa intensità di prima. L'infiltrazione aveva confermato che la sacroileite era la fonte del problema, ma non era stata sufficiente per una soluzione a lungo termine.
La decisione: radiofrequenza lesiva
A quel punto, lo specialista le ha proposto una tecnica più avanzata: la radiofrequenza lesiva delle terminazioni nervose della sacroiliaca.
La logica è semplice: il dolore nasce dai piccoli nervi che trasmettono i segnali dolorosi dall'articolazione infiammata al cervello. Con la radiofrequenza, questi nervi vengono "silenziati": attraverso il calore generato da un elettrodo, si interrompe in modo selettivo la trasmissione del dolore, senza danneggiare la struttura ossea o muscolare.
Michela inizialmente era scettica: "E se mi fa più male di prima? E se non funziona?". Ma il ricordo delle settimane felici dopo l'infiltrazione, e la prospettiva di una vita senza dolore cronico, l'hanno convinta.
La procedura
Michela è stata posizionata prono sul lettino. Dopo anestesia locale della cute, con l'ausilio di guida ecografica e radioscopica sono stati inseriti degli aghi sottili vicino alle terminazioni nervose che innervano l'articolazione sacroiliaca.
Una volta verificata la posizione corretta (con piccoli stimoli di test), è stata attivata la radiofrequenza: attraverso gli aghi è stato erogato calore controllato (circa 80°C per 90 secondi) che ha "silenziato" i nervi responsabili del dolore.
Dopo un breve periodo di osservazione, Michela è tornata a casa sulle sue gambe.
Il risultato
Nei primi due giorni, il dolore non è cambiato molto. Anzi, un leggero indolenzimento le faceva temere il peggio. Ma già dalla fine della prima settimana, la differenza era evidente.
Il dolore cronico, quello che la svegliava la notte e la limitava in ogni gesto, era scomparso. Restava solo un fastidio lieve dopo sforzi intensi, che non aveva nulla a che vedere con la sofferenza di prima.
Al controllo dopo un mese, Michela riferiva una riduzione del dolore di oltre l'80%. Poteva camminare senza problemi, fare le scale, persino ballare a una festa con le colleghe.
E la cosa più importante: aveva ritrovato fiducia nella sua vita quotidiana. Non era più schiava della paura del dolore.
Un messaggio per chi soffre di sacroileite
La storia di Michela dimostra che, anche di fronte a un dolore cronico e spesso sottovalutato come quello della sacroileite, esistono soluzioni efficaci.
Alcuni punti fondamentali da ricordare:
- La diagnosi precisa è la chiave. Senza la risonanza e i test clinici, il dolore di Michela avrebbe potuto essere confuso con una lombalgia generica o con una sciatalgia.
- L'infiltrazione è utile sia come terapia che come test diagnostico. Nel suo caso, ha dimostrato che la fonte del dolore era proprio la sacroiliaca.
- La radiofrequenza non cura l'articolazione, ma spegne il dolore. È una procedura mirata, sicura e mininvasiva, che può restituire qualità di vita a lungo termine.
- Ogni percorso è personalizzato. Non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo: serve sempre la valutazione di uno specialista.
Epilogo
Oggi Michela racconta la sua esperienza con un sorriso diverso. Ha imparato ad ascoltare il suo corpo, a non sottovalutare i segnali che arrivano dalle articolazioni e a fidarsi delle cure innovative che la medicina mette a disposizione.
Non si tratta di un "miracolo", ma di un percorso scientifico e ben strutturato, che l'ha portata dalla sofferenza cronica alla libertà di muoversi di nuovo senza paura.
E il messaggio che condivide con chi legge è semplice:
"Il dolore non è una condanna. Esistono soluzioni. Basta cercarle e affidarsi a chi sa guidarti nel percorso giusto."