Dolore neuropatico da cicatrice: la PENS

Eugenia dorme serenamente dopo trattamento PENS per dolore neuropatico da cicatrice post-operatoria all’anca, ritrovando benessere e riposo

Eugenia ha 52 anni e vive a Bergamo. Dopo un intervento chirurgico all’anca, la ferita sembrava guarita perfettamente, ma la cicatrice continuava a bruciare. Da mesi conviveva con un dolore sottile e persistente, difficile da spiegare e impossibile da ignorare.

Ogni passo le ricordava quella fitta puntuale, come se sotto la pelle qualcosa non volesse spegnersi. Non era un dolore acuto, ma una presenza costante, capace di toglierle energia e serenità. Le attività quotidiane — salire le scale, vestirsi, camminare per strada — erano diventate piccoli ostacoli da superare con prudenza.

Eugenia aveva provato pomate, massaggi e fisioterapia, ma senza risultati duraturi. Si sentiva stanca, frustrata e un po’ smarrita: possibile che una semplice cicatrice continuasse a farle male così a lungo?

Fu allora che decise di chiedere un parere specialistico, nella speranza di capire se quel dolore avesse ancora un senso o se, semplicemente, il suo corpo avesse dimenticato come stare bene.

Una cicatrice che non voleva guarire

Quando Eugenia arrivò alla visita, il suo modo di camminare raccontava più di qualsiasi referto.
Non zoppicava, ma ogni passo sembrava una trattativa silenziosa tra fiducia e dolore.
Era reduce da un intervento chirurgico all’anca: tecnicamente riuscito, esteticamente perfetto, ma emotivamente ancora aperto.

Sulla pelle c’era una cicatrice sottile, lineare, ma sotto quella linea qualcosa continuava a bruciare.
“È tutto guarito”, le avevano detto più volte. Eppure lei sentiva una fitta costante, come una scintilla che si riaccende ogni volta che provava a muoversi con naturalezza.

Un dolore che non passa mai

“Non è un dolore forte,” disse, “è peggio: è un dolore che non passa mai.”
Le cicatrici, certe volte, hanno una memoria tutta loro.
Il corpo si chiude, ma i nervi restano in allerta, come sentinelle che hanno visto troppo.
Anche quando non c’è più nulla da difendere, continuano a suonare l’allarme.

Eugenia aveva provato pomate, massaggi, impacchi, ma ogni volta la cicatrice tornava a pulsare come se volesse ricordarle che non era finita.

Un errore di comunicazione

Durante la visita le spiegai che, forse, il problema non era nella cicatrice in sé, ma nel modo in cui il corpo la interpretava.
Non sempre il dolore indica un danno: a volte è un messaggio rimasto bloccato, un circuito nervoso che non ha ancora capito che la guerra è finita.

“E allora come si spegne questo messaggio?”, mi chiese.
“Si può insegnare al corpo a parlare di nuovo un linguaggio più calmo,” risposi.

Le parlai di reset: di come, a volte, basta un impulso diverso per convincere un sistema intero che non serve più difendersi.

La seduta di PENS

La terapia non fu invasiva né dolorosa.
Solo un piccolo formicolio, un senso di calore, un respiro più lento.
Durante la seduta, Eugenia rimase in silenzio, con gli occhi chiusi. Poi, all’improvviso, sorrise.

“È come se qualcosa si fosse staccato,” disse piano. “Come se la cicatrice si fosse finalmente spenta.”

Non era suggestione.
Quando il sistema nervoso riceve un segnale corretto, può reagire immediatamente.
È come riavviare un computer dopo troppo tempo acceso: non si cambia l’hardware, si libera la memoria.

Il risultato

Quando la rividi pochi giorni dopo, Eugenia era un’altra persona.
Camminava con passo sicuro, la schiena più dritta, lo sguardo sereno.
Mi disse che quella stessa notte aveva dormito bene, senza svegliarsi per il bruciore che l’aveva accompagnata per mesi.

“È come se il dolore si fosse ricordato che non serviva più,” mi disse.
Ed era proprio così: il suo corpo aveva smesso di temere se stesso.

La terapia: la PENS

La PENS (Percutaneous Electrical Nerve Stimulation) non è una magia né un anestetico.
È una tecnica che comunica con i nervi attraverso impulsi elettrici mirati, capaci di “riscrivere” il modo in cui il cervello interpreta un’area del corpo.

Non spegne il dolore con la forza, ma lo convince dolcemente a disimparare.
Come un maestro paziente che insegna al corpo che non c’è più motivo di avere paura.

Nel caso di Eugenia, bastò una sola seduta: la cicatrice aveva solo bisogno di essere ascoltata per poter, finalmente, tacere.